domenica 25 luglio 2010

Investimenti e tornaconti

Sembrerebbe, a sentire gli ammiratori a senso unico del liberismo, che i cittadini e i lavoratori dovrebbero essere grati e riconoscenti ai padroni se questi ultimi “investono” e quindi “creano” occupazione diventando essi stessi “datori di lavoro”. Per questi sostenitori occorre quindi realizzare le condizioni perché gli “imprenditori”, nella loro indiscussa libertà, siano stimolati e incoraggiati a investire e quindi a produrre posti di lavoro. Creare le premesse per l’investimento è la condizione ineludibile. Altrimenti a Marchionne chi glielo fa fare?
Agli imprenditori e ai capitalisti lo Stato non impone per legge di utilizzare le loro ingenti (superflue?) ricchezze economiche per il fine sociale previsto dall’articolo quarantuno della Costituzione. Nella pratica spesso li invita li coccola e li circonda di ogni attenzione e cura. Attenzione e cura che si traducono in finanziamenti, agevolazioni fiscali, partecipazioni societarie, ecc. ecc. ecc.
Secondo tutti costoro l’investitore va premiato e gli va riconosciuto il ruolo “sociale” di creatore di posti di lavoro o “datore di lavoro”. Senza di lui ci sarebbero solo disoccupazione e miseria per i dipendenti, che dovrebbero essergli perciò riconoscenti e disposti anche a rinunciare a un futuro economicamente migliore e alle superflue e superate garanzie costituzionali.
Chiamparino, sindaco di Torino e astro nascente del Partito democratico, si unisce al coro e dice testualmente: ”Il fatto è che pensiamo ancora come negli anni Settanta, siamo fermi a quell'epoca e a quel mondo. Non solo la Fiom, che continua a dire che dopo trent'anni di contributi la Fiat non può andare fuori, a chi pensa semplicemente che si possa andare avanti senza regole o con regole messe continuamente in discussione”. Se così è, chi glielo fa fare a Marchionne di investire venti miliardi in un paese in cui, bene che vada, è sopportato. “Poi però bisogna pur convincerlo a rinunciare alla linea dura e a pensare a qualcosa di alternativo per Mirafiori". Poi sempre Chiamparino, “Perciò se fossi al posto di Marchionne, direi: io devo fare tante vetture, fate voi le proposte su come evitare di perderci tutti”.
Secondo Chiamparino, che sulla carta è un dirigente di un partito di “opposizione” di centro”sinistra”, l’obiettivo della Fiat sarebbe solo quello di costruire vetture (non di realizzare guadagni e profitti) e quello del sindacato di fare le proposte (di dire cioè a cosa sono disposti a rinunciare, a nome e per conto dei lavoratori) perché a Marchionne sia più conveniente raggiungere i suoi obiettivi in Italia e non all’estero. In questa direzione i sindacati non devono attardarsi o essere fermi agli anni Settanta, quando i lavoratori si battevano per un salario più equo e per i diritti. Per Chiamparino tutto ciò e roba vecchia, superata e datata. Occorre “innovare”, altrimenti perché Marchionne dovrebbe rinunciare alla linea dura e “investire” in Italia e non altrove? Verrebbe da chiedersi dura perché e soprattutto verso chi? (Verso i lavoratori e i disoccupati fannulloni, perdenti e rivolti al passato perché rivendicano i propri diritti?).
Perché occorre adulare il capitalista affinché investa parte delle proprie ricchezze superflue? L’investimento non è forse per l’imprenditore un’opportunità per incrementare, raddoppiare o più ancora il capitale? L’investimento è forse realizzato per carità sociale? Pensiamo davvero veramente che Marchionne e la Fiat faranno mai prevalere la solidarietà con i disoccupati e i cassaintegrati al proprio profitto e al tornaconto? Oppure, come vogliono darci a intendere, quella della Fiat e del suo amministratore delegato è una battaglia “morale e politica” per sconfiggere “l’estremismo” della Fiom che si attarda su concetti superati.
Epifani, segretario della Cgil, dichiara su Mirafiori (stabilimento torinese storico e in chiusura per la delocalizzazione in Serbia della Fiat) che è utile una trattativa con l'azienda "a due condizioni: che l'incontro possa portare a dare certezze sugli investimenti in Italia e la difesa dell'occupazione” schierandosi, di fatto, con l’accordo di Pomigliano e con chi l’ha sottoscritto: Fiat, Cisl e Uil. Ma anche contrastando nei fatti chi non l’ha sottoscritto (Fiom e Cobas) e cogliendo l’occasione per differenziare e separare le proprie posizioni e quelle della Cgil da quelle della Fiom, indebolendo la sua lotta e strizzando l’occhio alla Fiat.
Le condizioni dell'azienda e di Marchionne sono note e sono diventate la strategia e il modello di azione di padronato, governo e sindacato con il nome di “fabbrica Italia”, nel tentativo comune di estendere “l’accordo” di Pomigliano generalizzandolo su tutto il Paese. La Fiat, il Pd e il sindacato, tralasciando il governo, naturale e scontato sostenitore di teorie liberiste, non si rendono conto che le crescenti e intollerabili ingiustizie determinano una condizione sociale esplosiva che viene mal sopportata da lavoratori, precari e disoccupati. Un’insofferenza crescente che alla fine produrrà il risveglio delle coscienze e la ripresa delle lotte e del cammino verso una società. Si spera più giusta di questa.

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