mercoledì 14 luglio 2010

La violenza e l’arroganza del potere

Il ministro dell’economia Tremonti smentisce il ministro del welfare Sacconi! La norma che fa saltare il limite dei quaranta anni di contributi per la pensione non è una svista o un refuso e afferma: ”Il sistema previdenziale è cambiato senza un’ora di sciopero”.
La violenza e l’arroganza di questa dichiarazione è di una gravità inaudita. Tremonti si vanta di aver raggiunto, con un semplice emendamento alla manovra economica e senza che nessuno protestasse, quello che diversi governi (a cominciare da quello Dini a Berlusconi, passando per Prodi e D’Alema) non erano riusciti a fare: stroncare definitivamente il sistema previdenziale italiano, conquistato a prezzo di dure lotte. Non ci sarà più per il futuro la certezza della pensione, nemmeno dopo quaranta anni di lavoro e di contribuzione.
Il ministro Tremonti, rappresentante di una classe di privilegiati che può andare in pensione dopo soli due anni e mezzo di “lavoro”, toglie questo diritto ai lavoratori in una logica di “rigore” a senso unico per risanare a spese di questi ultimi i conti dello Stato. Quanti anni o meglio quante vite dovrà lavorare un precario per arrivare ad avere quaranta anni o più di contributi e quindi avere diritto alla pensione? Questo, il ministro non lo dice. A lui interessa il risultato.
Non si è preoccupato il ministro Tremonti di leggere i dati pubblicati proprio oggi dall’Istat riguardanti il lavoro sommerso o nero in Italia? Ebbene nel 2009 circa 2 milioni e 966 mila lavoratori (quasi tutti dipendenti) hanno lavorato a nero nel nostro Paese. Il valore aggiunto prodotto in questo modo è compreso tra un minimo di 255 e un massimo di 275 miliardi di euro. Quali sono le conseguenze di questo comportamento fraudolento degli “imprenditori” che si rifugiano nel sommerso per arricchirsi e defraudare i lavoratori e lo Stato? 1) Il mancato versamento dei contributi previdenziali per i tre milioni di lavoratori interessati; 2)la sottostima del fatturato e il lievitare dei costi dichiarati per le aziende; 3) la totale evasione fiscale di queste attività. L’entità del fenomeno è tale da incidere pesantemente sullo stesso Pil nazionale (se si considera che i 3 milioni di lavoratori a nero rappresentano circa il 15 per cento della forza lavoro attiva in Italia).
Davanti all’enormità di questi dati, cosa ha da dire in sua difesa il ministro dell’economia? Cosa intende fare per correggere questo stato di cose? Nessuna vergogna. Nulla. Niente di niente. La sua malcelata soddisfazione è quella di essere stato così bravo di essere riuscito dove altri avevano fallito: togliere la pensione ai lavoratori regolari senza nemmeno un’ora di sciopero. Dando a intendere che tutto ciò avviene, per di più, con il consenso degli stessi.
Il cinico accanimento di classe e quindi a senso unico e l’uso del guanto di ferro con i deboli e del guanto di velluto con i forti, alimenta e aumenta l’ingiustizia sociale. Smaschera allo stesso tempo la violenza del sistema “padronale” mai sazio, che affama i lavoratori sicuro e convinto di poter continuare a lungo indisturbato sulla strada dell’arricchimento a danno dei discriminati e degli (è certamente il caso di dirlo) oppressi.

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