I dati pubblicati da Istat e Inps riguardanti il numero di occupati e di disoccupati pubblicato oggi dalla stampa, in barba all’ottimismo dei miliardari nostrani, fanno emergere la drammaticità della situazione per tutti i lavoratori e i disoccupati, in particolare per quelli di loro ricadenti nella fascia di età fra i quindici e i ventiquattro anni. Nel mentre continua l’opera del padronato, con la collaborazione del sindacato (vedi Pomigliano), di precarizzazione del lavoro. In generale il trend è costantemente negativo, con il peggioramento delle cifre riguardanti la disoccupazione giovanile, arrivata al 29,2 per cento.
Tutto ciò segnala l’assurdità e l'intollerabilità di un sistema politico ed economico che costringe le forze più fresche e attive a uno stato d’inerzia (o sottoccupazione) e, contemporaneamente, obbliga ultrasessantenni a continuare a lavorare a causa dei ripetuti innalzamenti dell’età pensionabile. Innalzamenti decisi e imposti dai governi per risparmiare su pensioni che spettano di diritto dopo una vita di lavoro. Per chi ha trentacinque o quaranta anni di contributi previdenziali, essere costretto a continuare a lavorare (anche per le pensioni troppo basse) rappresenta una fatica e un ulteriore sfruttamento fuori tempo massimo, quando cioè il fisico ha perso le energie e la salute. Se inoltre si obbliga l’anziano a lavorare, s’impedisce conseguentemente al giovane di subentrargli. Per un giovane rimanere forzatamente inoperoso, o precario o sottoccupato è un’umiliazione insopportabile perché in questo modo gli si impedisce di fare alcun progetto, programmare la propria vita e decidere in generale del proprio futuro, in quanto la certezza economica è assente. Molti sono costretti a dipendere ancora, per di più, dalla famiglia quando questa è presente e ha possibilità. Quando poi un giovane trova lavoro, generalmente questo è precario, sottopagato e senza diritti (anche quelli previsti dalla Costituzione relativi a ferie, malattia, tredicesima, ecc.) In questo modo il giovane è tutt’altro che libero da una condizione subalterna: cambia solo la motivazione e il soggetto che lo rende sottoposto. Non esiste per lui futuro e quel che è peggio non ne esiste la speranza, essendo già problematico il presente. La speranza in un'occupazione e in un reddito certo inoltre è pressoché inesistente, non essendoci posti di lavoro (e quelli disponibili sono precari e a tempo). Ogni giorno, settimana, mese e anno che passa senza lavoro corrisponde a un giorno, una settimana, un mese o un anno in più da lavorare ancora per tentare di avere il diritto in futuro a un minimo di pensione. Perché se a trenta anni ancora non si ha lavoro, per ottenere la pensione si dovrà lavorare fino a ottanta anni (grazie ai governi di ogni “colore” che si sono succeduti in questi ultimi venti anni). Chissà quale tipo di “rigore” potrà mai invocare la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia, per i giovani disoccupati e i precari.
La realtà è che quando cresce la disoccupazione, secondo la legge del tanto osannato mercato dei liberisti, per far aumentare la richiesta di lavoro occorre il calo del costo dell’offerta. Questo indebolisce i dipendenti costretti ad accettare di lavorare per paghe più basse, senza diritti e in ambienti lavorativi più pericolosi. Chi ci guadagna è il padronato che aumenta i profitti e gli utili. Per il padronato anzi più questa situazione dura, meglio è.
I giovani e i lavoratori devono prendere conoscenza e coscienza di questo per impedire ai ladri di futuro e di sudore di continuare a farlo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento