La manovra economica è passata al Senato con l’ennesimo voto di fiducia, ora andrà alla Camera. Il “dibattito” svoltosi in quest’occasione ha visto il Governo schierato in una difesa delle proprie “scelte”. Queste ultime riguardano le pensioni con finestre mobili e attese di vita, l’allungamento dell’età pensionabile per le donne della pubblica amministrazione a sessantacinque anni e il blocco degli stipendi del turn over, i tagli agli enti locali (regioni e comuni), le norme sulle pensioni d’invalidità, gli aumenti dei pedaggi autostradali, i tagli ai ministeri e alla scuola, ecc. ecc. ecc.
Da parte dell “opposizione” si è assistito a interventi di critica, anche sdegnati, privi però di qualsiasi velleità di reale contrapposizione a scelte che penalizzano sempre e solo i soliti: lavoratori, giovani e pensionati. E il sindacato? Tace e acconsente.
Questa sorta di “confronto” ha dato la netta sensazione di un gioco delle parti, tipico di certe occasioni, dove il Governo difende quello che fa e ”l'opposizione” si “oppone”. Che tutto ciò sia una sorta di recita a soggetto lo dimostrano alcuni “provvedimenti” (per esempio in materia di pensioni, di età pensionabile e di attese di vita), che approvati da questo Governo sono stati promossi in passato da altri governi di altro colore. Il Governo di centro”sinistra” Dini, infatti, con la legge 335 del 1995 introdusse la norma sulla speranza di vita, che poi non fu attuata. Oggi ci pensa il centrodestra di Berlusconi a farlo con una continuità di scelte politiche degna di miglior causa.
Cambiano i governi (sulla carta se ne succedono di diverso colore), uguali sono le scelte economiche e i soggetti da penalizzare. D’altra parte il ripianamento del debito pubblico è un obiettivo largamente condiviso da entrambi gli schieramenti. Il Presidente della Repubblica inoltre ha recentemente parlato del “dovere di tutti di ridurre il debito pubblico” e per questo occorre una “coesione nazionale senza la quale il nostro paese si perderebbe nel fiume della globalizzazione”(?) Gli fa eco il “comunista pentito” e attuale dirigente del Pd D’Alema, dichiarando che c’è bisogno di “un nuovo patto per la crescita” come negli anni ’90, che porti a un governo di “larghe intese” su obiettivi precisi come “la legge elettorale e la realizzazione di un compromesso ragionevole tra nord e sud in materia di federalismo”. Tali affermazioni apparentemente indecifrabili per chiunque contengono dei precisi messaggi in codice per muovere e cambiare le sorti della “politica”. La loro. In questo caso D’Alema cerca di coinvolgere la Lega con lo zuccherino del federalismo. Essendo il Paese davanti a un’emergenza economica, D’Alema, invita “tutte le forze politiche a un’assunzione di responsabilità” senza pensare di ricorrere a scorciatoie giudiziarie per rimuovere il Governo attuale, con un esecutivo che comprenda tutti, a capo del quale però non ci deve essere Berlusconi. Ecco il nocciolo. Davanti a un governo dal “bilancio fallimentare” e pieno di dimissionari forzati, D’Alema propone un governo di salute pubblica e di coesione nazionale cui dovrebbero partecipare, oltre al partito di Berlusconi, lo stesso Pd, l’Udc e la Lega. Il tutto in un unico abbraccio, superando le “diversità”, uniti nello sforzo patriottico e disinteressato di sanare l’economia italiana.
Non cambieranno naturalmente i soggetti su cui si scaricherà lo sforzo patriottico di costoro, chiamati come sempre a pagare la crisi. Sempre sugli stessi, infatti, da trenta anni (con governi di ogni tipo) si stanno abbattendo disoccupazione, tagli, tasse, svalutazione inflazione, ecc. ecc. ecc.
Finirà perlomeno (unica consolazione) il teatrino della finta “lotta politica” di due schieramenti che fingono di essere contrapposti, mentre con le loro scelte e le loro politiche alimentano l’ingiustizia e la discriminazione sociale.
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